Inizialmente attribuita a Martin Schongauer, la tavola è stata in seguito riferita all’ambito fiammingo, a cui rimandano la fisionomia della Vergine, il drappeggio, la raffigurazione delle piante e il motivo del broccato dell’abito che spunta sotto il mantello. In particolare questa Madonna con Bambino, ambientata nell’hortus conclusus, il giardino circoscritto che allude alla verginità di Maria, si avvicina alle figure di Rogier van der Weyden e potrebbe appartenere alla diffusa corrente dei seguaci del maestro fiammingo.

Il dipinto fu commissionato da papa Nicolò V per l’altare della chiesa della Certosa di Bologna, in ricordo del cardinale Nicolò Albergati, di cui era stato allievo e segretario. L’esecuzione dell’opera fu affidata ai fratelli Antonio e Bartolomeo Vivarini, pittori veneti attivi nel Quattrocento che lasciarono la data 1450 e la loro firma nell’iscrizione sulla cornice sotto il gradino del trono della Vergine.

All’epoca della commissione i due pittori erano reduci da un’esperienza artistica accanto ad Andrea Mantegna nella chiesa degli Eremitani a Padova.

Bartolomeo, il più giovane dei due, mostra una maggiore attenzione alle novità prospettiche, soprattutto nei piedistalli dei santi. Ad Antonio vanno invece attribuite le figure come il San Giovanni Battista, più snelle e allungate come nelle rappresentazioni tardo gotiche.

Nel pannello centrale del polittico è raffigurata la Madonna col Bambino incoronata da due angeli. Nella parte superiore, al centro, è collocato un tabernacolo con Cristo in pietà tra due angeli in preghiera. Tutt'e due le scene sono affiancate da scomparti con raffigurazioni di Santi.

La ricca cornice sagomata, in legno dorato con finiture su fondo blu che si intravedono sotto i motivi a traforo, prodotto di raffinata carpenteria veneziana, culmina con una serie di pinnacoli e figure intagliate.

Il polittico è un capolavoro assoluto di un momento di passaggio cruciale non solo per l’esperienza artistica dei Vivarini, ma dell’arte veneta del Quattrocento, ancora legata per certi aspetti alla tradizione del Gotico Internazionale, ma pronta a recepire le novità formali e spaziali dell’arte rinascimentale.

La tavola che, assieme alla Visitazione della Vergine e sant’Elisabetta (inv. 203), in origine costituiva una delle due ali mobili collegata a un pezzo mediano oggi non noto, presenta evidenti rimandi alle invenzioni di Rogier van der Weyden e della sua cerchia. Incerto rimane il luogo di produzione dei due dipinti che, nella marmorizzatura del dorso, rimandano ai Paesi Bassi, mentre nelle fisionomie, soprattutto quelle degli angeli, e nel colorito sembrano spostarsi in direzione della Svevia.

Riferita all'incirca allo stesso periodo del polittico della Certosa (1450), l'opera è una delle più interessanti testimonianze della presenza di dipinti dei veneti Vivarini in Emilia-Romagna.

La tavola che, assieme all’Annunciazione (inv. 208), in origine costituiva una delle due ali mobili collegata a un pezzo mediano oggi non noto, presenta evidenti rimandi rimandi alle invenzioni di Rogier van der Weyden e della sua cerchia. Incerto rimane il luogo di produzione dei due dipinti che, nella marmorizzatura del dorso, rimandano ai Paesi Bassi, mentre nelle fisionomie, soprattutto quelle degli angeli, e nel colorito sembrano spostarsi in direzione della Svevia.

Si tratta dell'ordine superiore di un complesso eseguito per l'altare maggiore della chiesa dei SS. Vitale ed Agricola dal quale fu rimosso circa un secolo dopo, intorno al 1580.
La firma e la data d'esecuzione (1476) nell'ordine inferiore (attualmente non esposto), conferiscono al complesso un'importanza fondamentale nello studio dell'artista, essendo questa l'unica opera datata.