Eseguita dai fratelli Giacomo e Giulio Francia per la cappella Zagnoni in Santa Maria delle Grazie e firmata con le consuete due “I”, a ricordare l’esecuzione congiunta di “Iacomo” e “Iulio”, l’opera richiama la Santa Cecilia di Raffaello nell’impostazione. Oltre alla pala raffaellesca, modello imprescindibile per la tradizione figurativa bolognese, i due artisti sembrano guardare all’eleganza di Parmigianino, presente a Bologna dal 1527, a cui rimandano la posa suadente del san Giacomo e la morbidezza degli incarnati.

Opera di collaborazione tra i due figli di Francesco Francia, costituisce un esempio interessante della contaminazione tra il classicismo di tardo quattrocento e le nuove suggestioni della cultura importata a Bologna da Raffaello.

Uno degli esempi più tipici della copiosa produzione devozionale che caratterizza l'attività  pittorica di Giacomo Francia, accanto a quella di incisore che lo vide ugualmente versato in soggetti profani.

La pala, che fa parte delle serie di lavori eseguiti da Innocenzo nella chiesa e nel convento di San Michele in Bosco, fu realizzata intorno al 1522 per l'altare maggiore, secondo un programma iconografico ben preciso, che appare nel contratto tra l'artista e il priore olivetano.
La composizione, costruita da figure monumentali, ruota tutta intorno alla figura dell'Arcangelo, che riprende con deboli varianti l'invenzione raffaellesca del San Michele, oggi al Louvre, diffusasi rapidamente in Emilia grazie al cartone del dipinto, donato dallo stesso Raffaello al duca Alfonso I d'Este.