Opera databile al 1596 circa, costituisce un chiaro esempio di come la pittura di Ludovico si orientò, negli ultimi quindici anni del Cinquecento, verso un luminismo che, senza mai coincidere con quello di Caravaggio, arriva ad esprimere intensi contenuti drammatici pervasi da un forte pathos naturalistico.

Datato 1592, il dipinto presenta precise desunzioni da Tintoretto, da Tiziano, da Veronese.
La scena si fa ampia e grandiosa, le forme si intrecciano, i colori si mescolano ribadendo la matrice veneziana dei modelli.

Il dipinto venne commissionato dal segretario della Compagnia del Santissimo Sacramento per un piccolo ambiente collegato alla chiesa di San Giorgio in Poggiale, utilizzato per l’educazione dottrinale dei giovani, citato nei documenti come “stanza degli incontri”. Questa specifica destinazione spiega i caratteri di quest’opera, in cui al racconto evangelico si intreccia un preciso intento didattico.

Ludovico Carracci, uno dei protagonisti di quella riforma pittorica che a fine Cinquecento mise fine al sofisticato stile manierista, si dimostra così in sintonia con le indicazioni che il cardinale Gabriele Paleotti aveva raccolto nel suo “Discorso intorno alle immagini sacre e profane” del 1582: in linea con i dettami della Controriforma elaborati dopo il Concilio di Trento, raccomandava agli artisti di realizzare opere che fossero comprensibili a tutti.

Per questa pala d’altare, eseguita nel 1584, Ludovico utilizza una rigorosa prospettiva centrale, con le linee del pavimento a griglia in cotto e pietra grigia che convergono verso un unico punto di fuga, ricostruendo quella che poteva essere la stanza di una qualsiasi adolescente in una casa popolare di fine Cinquecento.

I modesti arredi sono quelli più diffusi nelle case bolognesi dell’epoca, come lo scarno armadietto a due ante che si intravede in fondo nella penombra, il letto sulla destra.

Maria, vestita con un accollato ed umile abito, ornato solamente dalla cintura, è impegnata nella lettura di un piccolo libro di preghiere, quando viene interrotta dall’angelo che le consegna un giglio.

Alle loro spalle una folata di vento apre la finestra, dalla quale entra la colomba dello Spirito Santo. 

Qui il sacro non è più l'evento straordinario rappresentato nella pittura manierista, ma diviene esperienza tangibile e familiare, tanto vicina che sul fondo, oltre la finestra appare, sbiadita ma rassicurante, la città di Bologna con le sue due torri.

Significativo è anche il modo di rappresentare il racconto dei vangeli, con la Vergine e l’Angelo raffigurati come due umili fanciulli che sembrano appartenere allo stesso ceto sociale dei ragazzi che frequentano la stanza della Confraternita.

Questa grande pala fu commissionata ad Agostino Carracci intorno al 1591 per l’altare del transetto della chiesa della Certosa di Bologna di fronte a quello con la Predica del Battista di Ludovico Carracci (visibile in questa stessa sala).

L'impegno dell’artista per eseguire al meglio l'opera è testimoniato dai numerosi disegni preparatori e da un’elaborazione lunghissima, che durò quasi cinque anni, tanto da esasperare i committenti fino a portarli sull’orlo della rinuncia

Agostino Carracci, grazie alla sua cultura e alla sua riconosciuta capacità di incisore, rivestiva all’epoca un ruolo di protagonista nell’Accademia degli Incamminati fondata col fratello minore, Annibale e il cugino Ludovico. 

Nella grande pala mette a frutto il suo talento di disegnatore, unendolo con il gusto per il colore influenzato dalla pittura veneziana e con la sua abilità nel raffigurare tutte le emozioni dei volti, riprendendo quell'esercizio di osservazione dal vero che era fondamentale nell’insegnamento dell’Accademia.

Il soggetto della tela è quello dell’ultima comunione ricevuta, alla presenza di un gruppo di monaci, dal vecchio San Girolamo, in veste di eremita con il leone, suo tradizionale simbolo iconografico, che si intravede appena ai suoi piedi. In alto compare una gloria di angeli, mentre l'uomo col turbante sulla sinistra allude alla Terra Santa dove si sarebbe svolto l’evento.

Le figure si affollano, in una composizione complessa, dentro una chiesa che si apre su un ampio paesaggio illuminato dalla luce di un tramonto.

Il dipinto che unisce armoniosamente tante componenti divenne ben presto il simbolo stesso della scuola dei Carracci e godette di grande fortuna nella tradizione critica e presso gli artisti.

Si tratta di un abbozzo condotto su carta con una pennellata liquida che non definisce i particolari.
La rappresentazione naturalista, ma già  avviata verso le forme più controllate del classicismo ancora da venire, suggerisce una datazione intorno al 1590.

Fu commissionata a Ludovico da Emilio Zambeccari per la cappella di famiglia in San Francesco e l'artista si impegnò a eseguirla in sei mesi a partire dall'agosto del 1587.
Si tratta di un'opera eccezionale, nella quale Ludovico crea uno spazio che è già  compiutamente barocco, donandoci un risultato di straordinaria intensità drammatica.