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Salone d'onore

La grande sala è stata affrescata tra il 1669 e il 1671 da Domenico Maria Canuti che, dopo i due ovali dello scalone, per Odoardo Pepoli realizza assieme al quadraturista Antonio Santi detto il Mengazzino il grande affresco con l’Apoteosi di Ercole.

Al centro della volta è raffigurato Ercole, eroe omonimo del padre di Odoardo e del nipote, futuro erede della casata, che viene accolto nell’Olimpo da Giove, seduto a cavalcioni sull’aquila, alla presenza di Amore e della sposa Ebe, dea dell’eterna giovinezza. Accanto Giunone, con scettro e corona, mentre in alto tra le nubi gli dei assistono, nella luminosità abbagliante del Carro del Sole; al di sotto dell’eroe vi sono invece alcune figure allegoriche, che rappresentano virtù e vizi: la Ragione che governa la Forza (una belva) e la Superbia e l’Invidia, le due donne – una bella e giovane, l’altra vecchia e dal colorito verdognolo – che precipitano verso il basso. La scena si svolge in un cielo aperto, al di là della ricca quadratura dipinta dal Mengazzino che, ampliando l’architettura reale della sala e complicandola con un tripudio di finti elementi (cornicioni, balaustre, archi, nicchie, colonne e bassorilievi), crea l’illusione di uno spazio che si dilata all’infinito. L’architettura illusiva è abitata da telamoni che sostengono cornicioni e da vivaci putti che reggono festoni di frutta, mentre ai quattro angoli muscolosi giganti in pose scomode si ispirano agli “ignudi” michelangioleschi della Cappella Sistina; al centro di ogni lato, sono dipinti quattro medaglioni a monocromo dorato raffiguranti episodi tratti dalle storie di Ercole: La liberazione di Alcesti dall’Ade, La contesa del tripode di Delfi, Ercole e i Cercopi e I pomi delle Esperidi.

Alla base della volta, lo stemma scaccato bianco e nero dei Pepoli – la cui bicromia, ripresa nel pavimento del salone, allude alla scacchiera, lo strumento di lavoro utilizzato in qualità di cambiavalute – è accompagnato dalle insegne araldiche delle mogli dei vari membri della casata ed è sormontato dal cigno, altro simbolo pepolesco che, assieme alla scacchiera, ritorna con insistente frequenza nella decorazione del piano nobile. A complicare ulteriormente il gioco realtà-finzione della sala, carattere tipico della teatralità barocca, vi sono le corone di metallo che sovrastano i cigni, e che alludono al titolo di conte ottenuto dal ramo della famiglia di cui Odoardo faceva parte.

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