Strage degli innocenti
Il dipinto, commissionato per la cappella della famiglia Berò nella chiesa bolognese di san Domenico ed eseguito nel 1611 probabilmente nel periodo in cui l’artista era a Roma, raffigura l'episodio della strage degli innocenti, narrato nel Vangelo di Matteo.
Tra due quinte architettoniche di alti edifici all’antica, che richiamano il palcoscenico di un teatro, due donne sulla destra cercano rifugio con i loro figli. Un uomo, ritratto di spalle, insegue una donna urlante, e un altro si china tenendo un pugnale in mano verso le madri che, inginocchiate a terra, si affannano a proteggere i bambini o piangono sui corpi di quelli già uccisi.
In alto nel cielo, due angioletti mostrano le palme del martirio.
Malgrado la concitazione del soggetto, il dipinto è articolato secondo un preciso schema compositivo con i due gruppi simmetrici di figure contrapposti ai lati e, isolato, proprio al centro della scena, il pugnale di uno dei carnefici, simbolo dell’intero soggetto.
L’azione sembra bloccata nel momento culminante in un tempo sospeso tra prima e dopo l’evento cruento, come afferma lo scrittore e critico d’arte Cesare Garboli “esattamente nel punto in cui niente avviene”. La violenza rimane confinata ai cadaveri lividi dei bambini in primo piano e all’urlo raggelato delle donne.
L’orrore si sublima nella nobiltà di una misura conquistata attraverso lo studio del grande modello di Raffaello e dell’antichità classica, a partire dalla celebre scultura della Niobe dei Musei Vaticani che ispira la figura della donna inginocchiata sulla destra.
Fin dalle prime citazioni nella letteratura artistica il contrasto tra i modi della pittura e il carattere tragico del soggetto, sintetizzato nell’ossimoro dell’orrore unito al diletto, coniato nel 1619 dal poeta Giovan Battista Marino, desta l’ammirazione di critici d’arte e letterati che vedono in questi dipinto la realizzazione dell’ideale classico di armonia ed equilibrio.
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