Dopo aver decorato la Sala delle Stagioni, nello stesso periodo Giuseppe Maria Crespi affresca anche il soffitto di questo ambiente che, dati i temi trattati, si ipotizza fosse una stanza matrimoniale.
Qui il processo di allontanamento dalla tradizione bolognese della quadratura, genere funzionale alle esigenze celebrative delle casate aristocratiche che combina illusionismo spaziale a trionfi sacri e mitologici, è ormai completo: l’architettura prospettica viene meno e il soffitto è interamente occupato da una grande apertura paesaggistica che si innalza dall’imposta della volta. In un paesaggio boschivo e marino, giocato su raffinate tonalità di grigio-azzurro, con un cielo che si accende di colori infuocati, Crespi raffigura gli Dei dell’Olimpo. In alto, il carro del Sole trainato da Apollo, Mercurio in volo, al centro Giove e Giunone e sotto di loro una coppia di divinità marine (forse Teti e Oceano che porge a Giove una conchiglia scaccata), Marte che si toglie l’elmo e Minerva in armatura, Amore con una fiaccola accesa e Venere che tiene in grembo il cigno araldico dei Pepoli.
Nella fascia sopra il cornicione, da sinistra, Nettuno, dio del mare, su un carro trainato da due cavalli, uno bianco e un nero, solca le onde assieme alla moglie Anfitrite, che regge un rametto di corallo beneaugurante; Diana e le sue ninfe, con i cani bianchi e neri, si riposano dopo una battuta di caccia, mentre in un angolo Plutone rapisce Proserpina per portarla negli Inferi. A destra le Tre parche (Cloto, Lachesi e Atropo), le divinità che presiedono al destino umano, rammentano che le favole mitologiche, così come la gloria terrena, sono belle ma inconsistenti, come le bolle di sapone soffiate dal bambino in secondo piano. Solitamente rappresentate vecchie e brutte, le tre dee appaiono qui come floride fanciulle, che ricordano allo spettatore la fugacità della vita umana, appesa al filo che Atropo, con sguardo beffardo, è pronta a recidere.