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Lavinia Fontana, figlia del pittore Prospero la cui tela con la “Sepoltura di Cristo” è visibile sulla parete destra di questa stessa Sala, era all’epoca molto apprezzata per le sue doti di ritrattista.
In effettiin questo dipinto si dimostra capace di esprimere concetti complessi attraverso una descrizione attenta delle fisionomie, degli abiti e dei gioielli.
Il grande ritratto di famiglia, firmato e datato 1584, è fra le sue opere più celebrate, come attesta l’esistenza di varie repliche.
Nell’interno ombroso di una stanza di casa Gozzadini sono riuniti attorno ad un tavolo in un’improbabile conversazione, vivi e morti, riconoscibili dalle scritte sul retro della tela che riportano nome, grado di parentela ed età degli effigiati.
Ulisse Gozzadini, capo della famiglia morto una ventina di anni prima l’esecuzione del dipinto, siede al centro, vestito con la zimarra senatoria.
Lo affiancano, a destra, Laudomia, committente del dipinto e, a sinistra, la figlia Ginevra, già morta all’epoca del ritratto. Ginevra sfiora il padre con una mano, per alludere al loro comune destino ed è raffigurata vestita di bianco in contrapposizione con Laudomia abbigliata, invece, con un vestito rosso vivo.
Alle loro spalle i cugini e rispettivi mariti, Annibale, con una lettera in mano a indicare i suoi interessi letterari o, più probabilmente, il suo ruolo nella gestione del patrimonio delle due sorelle e Camillo, con la spada e la croce dell’ordine portoghese di Gesù Cristo.
L'intento del ritratto è quello di esaltare non solo la dinastia dei Gozzadini e il suo status sociale, ma anche i valori morali su cui si fonda il nucleo familiare, imperniati sul concetto di fidelitas, simboleggiato dal cagnolino accucciato al centro del tavolo.
Grazie a questa complessa costruzione simbolica Laudomia, figlia naturale di Ulisse, si autocelebra come legittima erede del patrimonio di famiglia.
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La Cena di san Gregorio Magno, firmata e datata 1540, insieme alla tavola con Gesù in casa di Marta e Maria, collocata in questa stessa sala all’altra estremità della parete, più un terzo dipinto andato perduto rientrano nel vasto progetto decorativo del refettorio del monastero olivetano di San Michele in Bosco di Bologna, commissionato a Giorgio Vasari nel 1539.
Gli artisti della scuola bolognese, coinvolti da tempo nella decorazione del convento, temendo la pericolosa concorrenza toscana, non accolsero con entusiasmo l'arrivo del giovane aretino a Bologna. Comunque la sua presenza in città non durò a lungo: l'anno dopo infatti, con notevole sollievo di tutti, Vasari fece ritorno a casa.
Nell'affollata e multicolore Cena di san Gregorio Magno, l'aulica ambientazione in un edificio monumentale e solenne costituisce lo sfondo più idoneo per una suggestiva parata di ritratti. L'artista riesce infatti a rendere omaggio alla memoria di due illustri personaggi da poco scomparsi: papa Clemente VII, che nel 1530 aveva incoronato Carlo V imperatore nella basilica di San Petronio, è effigiato nelle vesti di san Gregorio, mentre il duca Alessandro de' Medici, grande mecenate del Vasari. è rappresentato alle sue spalle appoggiato alla sedia.
La scena allude a un episodio della vita di papa Gregorio Magno. Ogni giorno il papa serviva personalmente dodici poveri invitati alla sua mensa, in ricordo dell’Ultima Cena; un giorno a quei dodici ospiti se ne unì miracolosamente un tredicesimo, che si rivelò come Gesù stesso.
Nel dipinto con Gesù in casa di Marta e Maria, l'episodio evangelico è rappresentato in primissimo piano, all'interno di un vasto ambiente di un palazzo nobiliare, lungo le cui pareti corre una grandiosa scalinata, da cui si affacciano le tante figure impegnate nell'allestimento del pranzo.
Maria, emblema della vita contemplativa, è seduta ai piedi di Gesù e lo ascolta parlare, mentre Marta, simbolo della vita attiva, lavora alla preparazione del pranzo.
La firma di Vasari, visibile sulla sedia di Cristo, è curiosamente in lettere greche: l’idea si deve probabilmente all'erudito e amico personale del pittore, Andrea Alciati, all'epoca "lettore" presso lo Studio bolognese.
Vasari elabora in entrambe le tavole uno spazio scenografico e teatrale, dove si mescolano influenze della scuola di Raffaello, conosciuta a Roma e ricordi di Michelangelo, come nella robusta anatomia del commensale di schiena in primo piano nella Cena di san Gregorio.
L'influsso di Parmigianino, in particolare della pala con la santa Margherita visibile nella sala 18, è riconoscibile nella scena con Gesù in casa di Marta e Maria, sia nell'abbigliamento e nell'acconciatura elaborata di Maria che nell'elegante posa di profilo di Cristo.
Nel contesto del refettorio di san Michele, il tema dell'ospitalità, illustrato nelle tavole, intendeva celebrare la carità fraterna, caratteristica dell'ordine benedettino olivetano, la cui regola imponeva di ricevere tutti gli ospiti come fossero Cristo stesso.
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La pala fu dipinta per la chiesa ora distrutta di Santa Maria degli Angeli in via Nosadella che, annessa ad un piccolo convento di clausura, fu inaugurata nel 1570.
I quadri che decoravano il suo interno furono affidati ad alcuni dei pittori bolognesi più noti al momento tra i quali Sabatini, che mostra in questa pala una capacità di controllo compositivo e spaziale mai raggiunto in altre sue opere.
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Interprete bolognese - col Tibaldi, il Sabatini e il Fontana - della "maniera" tosco-romana, ne offre la versione più "vasariana" nella sintesi di richiami all'arte di Michelangelo e di Raffaello.
Nelle sue opere resta un'impronta prevalentemente toscaneggiante anche dopo il diretto approccio all'arte del Correggio nel corso del soggiorno parmense, iniziato nel 1570.
Questa pala fu probabilmente dipinta intorno alla metà degli anni settanta, dopo il ritorno a Bologna dell'artista.
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Si tratta della tavola centrale delle tre eseguite da Vasari durante il suo soggiorno bolognese del 1539-1540, nell'ambito dei lavori per i padri olivetani di San Michele in Bosco.
La Cena di Papa Gregorio è esposta in Pinacoteca mentre Abramo nella valle di Mambro è dispersa.
Forte è qui l'interesse per l'ambientazione architettonica costruita in moda da aumentare illusoriamente lo spazio del refettorio.
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Si tratta di una fra le opere più interessanti del manierismo bolognese collocabile nella fase giovanile del maestro.Vi si leggono con facilità le fonti culturali alle quali egli si ispira, da Correggio a Barocci, non tralasciando suggerimenti tratti da Lelio Orsi e Nicolò dell'Abate.