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- Categoria: Sala 24: Guido Reni
Assieme alla Fortezza (inv. 928), attualmente conservata nei depositi della Pinacoteca, la Giustizia è una delle sei Virtù affrescate da Guido Reni all’interno dell’appartamento del Gonfaloniere in Palazzo Pubblico a Bologna: nella loro sede originale, le figure allegoriche erano raffigurate a coppie, laterali a tre porte sormontate dai busti dei tre papi bolognesi Pio V, Gregorio XIII e Innocenzo IX. Definite da Malvasia nel 1678 “tanto tenere e pastose”, sono da ascriversi all’attività giovanile del pittore, quando fu chiamato a collaborare alla realizzazione degli apparati effimeri allestiti in occasione dell’ingresso trionfale di Clemente VIII a Bologna, dopo la conquista di Ferrara.
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Il dipinto faceva parte della ricca collezione del Cardinale Giovan Carlo de' Medici che, dopo la morte di questi, venne interamente alienata dal fratello, il Granduca Ferdinando II.
L'opera, ascrivibile alla fase ultima del percorso di Guido intorno al 1635 -1636, rappresenta una Sibilla senza alcun riferimento al suo ruolo se non il turbante ed il gesto delle mani, che sembra accompagnare un eloquio.
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Questo dipinto, proveniente dalla collezione del pittore francese Pierre Puvis de Chavanne, presenta un soggetto più volte replicato da Guido Reni.
Il Cristo è rappresentato nel momento dell'oltraggio con una intensa idealizzazione.
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Il dipinto, commissionato per la cappella della famiglia Berò nella chiesa bolognese di san Domenico ed eseguito nel 1611 probabilmente nel periodo in cui l’artista era a Roma, raffigura l'episodio della strage degli innocenti, narrato nel Vangelo di Matteo.
Tra due quinte architettoniche di alti edifici all’antica, che richiamano il palcoscenico di un teatro, due donne sulla destra cercano rifugio con i loro figli. Un uomo, ritratto di spalle, insegue una donna urlante, e un altro si china tenendo un pugnale in mano verso le madri che, inginocchiate a terra, si affannano a proteggere i bambini o piangono sui corpi di quelli già uccisi.
In alto nel cielo, due angioletti mostrano le palme del martirio.
Malgrado la concitazione del soggetto, il dipinto è articolato secondo un preciso schema compositivo con i due gruppi simmetrici di figure contrapposti ai lati e, isolato, proprio al centro della scena, il pugnale di uno dei carnefici, simbolo dell’intero soggetto.
L’azione sembra bloccata nel momento culminante in un tempo sospeso tra prima e dopo l’evento cruento, come afferma lo scrittore e critico d’arte Cesare Garboli “esattamente nel punto in cui niente avviene”. La violenza rimane confinata ai cadaveri lividi dei bambini in primo piano e all’urlo raggelato delle donne.
L’orrore si sublima nella nobiltà di una misura conquistata attraverso lo studio del grande modello di Raffaello e dell’antichità classica, a partire dalla celebre scultura della Niobe dei Musei Vaticani che ispira la figura della donna inginocchiata sulla destra.
Fin dalle prime citazioni nella letteratura artistica il contrasto tra i modi della pittura e il carattere tragico del soggetto, sintetizzato nell’ossimoro dell’orrore unito al diletto, coniato nel 1619 dal poeta Giovan Battista Marino, desta l’ammirazione di critici d’arte e letterati che vedono in questi dipinto la realizzazione dell’ideale classico di armonia ed equilibrio.
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Il piccolo rame appartiene ad un gruppo di piccole ed eleganti composizioni giovanili dipinte dall'artista a Roma intorno al 1605.
L'episodio rappresenta San Francesco che in meditazione sul Monte Alverna viene visitato da un angelo musicante che lo induce ad un sonno estatico.
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Si tratta dell'unico grande frammento conosciuto delle 'Nozze di Bacco e Arianna' che Guido Reni dipinse negli anni 1638- 1640 su commissione del Cardinale Barberini, ma destinato a Henrietta Maria di Borbone moglie del re d'Inghilterra Carlo I Stuart .
Il dipinto, eseguito a Bologna, fu inviato a Roma per la spedizione alla regina, ma i drammatici fatti politici che precedettero decapitazione di Carlo I ne impedironono l'invio in Inghilterra.
Nel 1647 finalmente la grande tela giunse a destinazione presso Henrietta, che la vendette un anno dopo per sanare i propri debiti.
Entrata nella raccolta di Michel Particelli d'Hemery, alla sua morte secondo autorevoli fonti dell'epoca, venne fatta ridurre in pezzi dalla vedova scandalizzata dalla presenza di figure nude.
La figura di Arianna risulta scontornata con una precisione inconsueta per una 'distruzione', è quindi probabile che il dipinto sia stato invece scomposto con metodo per essere poi più facilmente venduto.